Sultanato di Himyar

Il Sultanato di Himyar è un'entità politica con un'immensa estensione territoriale, che include un terzo del continente sui cui sorge. Il governo ha una struttura duale – civile e militare – con poteri ben distinti, con a capo il sultano ed i suoi ministri. Possiede un esercito ed una marina permanenti e di un corpo di funzionari statali di nomina regia.
Le centinaia di migliaia di miglia quadrate ed i tre diversi biomi del sultanato consentono un'enorme apporto di risorse naturali di pressoché qualunque tipologia: dal legname alle spezie. I numerosi corpi e corsi d'acqua, e le numerosissime strade rendono il commercio e gli spostamento veloci e sicuri.
Le librerie e le accademie possiedono libri molto antichi in varie lingue, provenienti da tutte le civiltà del continente a contatto con il sultanato. Lunghi studi delle scienze matematiche e naturali, hanno permesso che gli ultimi cento anni dell'impero fossero di crescita tecnologica e industriale. Navi ed eserciti marciano con cannoni e moschetti, piccole manifatture e miniere sono dotate di sistemi a combustione per muovere telai o azionare fonderie.
La società è strutturata fra nobiltà (di spada e di penna), ceto medio di commercianti e burocrati, una stragrande preponderanza di artigiani e lavoratori, con in fondo schiavi domestici. C'è una discreta mobilità sociale dovuta alla carriera militare ed ai bisogni crescenti dell'amministrazione.

La loro conoscenza tecnologica ha raggiunto livelli abbastanza alti da permettere agli scienziati di attingere all'emissione energetica delle stelle nella volta celeste, sfruttandone la suscettibilità al venire intrappolata in determinati minerali e pietre preziose, usate in seguito per alimentare meccanismi e congegni. I pochi “maghi” dotati di un'abilità innata al maneggiare l'energia stellare, ed intraprendono studi finanziati dallo stato.
Le gemme energizzate vengono inserite in meccanismi delicatissimi e precisi, realizzati dai migliori gioiellieri, orologiai e tecnici; siano essi telescopi, orologi o sistemi d'arma personalizzati.
Carbone ed un tipo di roccia ignea suscettibile all'incamerare l'emissione stellare, vengono usati per alimentare i meccanismi delle fabbriche e dei vascelli sperimentali dotati di propulsione ibrida. Secondo gli scienziati himyariti, il secondo materiale avrebbe applicazioni apparentemente illimitate .

Il sultanato abbraccia molte culture sparpagliate su terrori enormi, venendo a creare così crogioli di culture sui confini, soprattutto quelli nordorientale e settentrionale, lentamente assimilati, anche se in alcuni casi non del tutto. Le genti hanno spesso toni di pelle scuri come i loro capelli e statura bassa per il centro ed il meridione, oppure carnagioni più chiare e capelli bruni tipici delle regioni del nord-est.
Tutte le popolazioni hanno indumenti larghi che uniscono comodità e frescura, date le temperature solitamente alte. C'è abbondanza di colori nell'aspetto dei popolani, dove la tunica lunga fino al ginocchio è il capo di abbigliamento più comune insieme ad una fasciatura per proteggere la testa dal sole.
La tradizione filosofica ha approcciato al problema con una soluzione: le stelle devono essere la sola manifestazione naturale che più è vicina alla perfezione. Una manifestazione che possiede un'equilibrio energetico impossibile da ottenere con i mezzi umani, nonostante irradi il resto del creato con essa. L'energia stellare (Akhan) è il paradigma del ragionamento filosofico, che non viene mai sollevato oltre l'esercizio mentale.

I. Geografia

Il sultanato ricopre almeno tre biomi differenti ed è bagnato da ben tre mari (uno vero e proprio a nord e a ovest, un mare interno a sud ed un oceano ad est). Viene delimitato a sud da un'enorme deserto di sabbia rossa con numerosi rilievi orografici e “tagliato” in due da un fiume che scorre per l'interezza del territorio da est ad ovest, il Kamam, nascente dalle lontane montagne a nord-est. Nell'oceano orientale è presente un arcipelago con un vulcano sulla sua isola maggiore. Il continente è noto come Shar'asabat, un termine mantenuto nella loro tradizione epica letteraria e risalente a tempi precedenti al sultanato.

Quasi un quarto del territorio è occupato da un immenso deserto nella sua parte meridionale, il Rub' al-Khali, riconoscibile per via della sua sabbia rossiccia. Una regione storicamente mai colonizzata dagli himyariti, ma terra presente nella loro epica letteraria come luogo di nascita della civiltà loro progenitrice, ora scomparsa ma le cui rovine sono sparpagliate tra le sabbie.
La regione abitata è chiamata Najjed, e si trova tra la costa orientale del mare interno Al-Ahmar e l'Oceano Antico ad est. Il clima è temperato lungo le coste e viene mitigato nell'entroterra dal lago Mezil, oltre che da una delle sezioni centrali del Kamam. La regione viene delimitata dal basso rilievo montuoso sul golfo meridionale di Weyyah e dal corso del fiume a nord. L'omonimo capoluogo della regione è però situato sulla sponda orientale dell' Al-Ahmar.

Ad ovest, seguendo il lunghissimo fiume, si trova la grande e ricca regione della Beth'iya, divisa in Beth Mazunaye e Beth Qatraye, rispettivamente a nord e a sud di un'ampia fascia boschiva in prossimità dei monti Sarawat. Lambisce sia il mare interno che i mari a nord che separano lo Shar'asabat dalla teorizzata e sconosciuta terra a nord, definita unicamente nella tradizione letteraria come “terra ignota”.
Essa è prevalentemente collinare e con discrete pianure e zone boschiva in prossimità del fiume e delle coste, che le garantiscono il clima più morigerato dell'intero continente data la grande quantità di acque circostanti. Qui il sultanato ha la sua capitale Mazra, sita a poca distanza dall'unica catena montuosa degna di nota, i monti Sarawat. I territori adatti sono interamente dedicati alla coltura intensiva, ed è costante l'incremento della superficie coltivabile tramite opere di irrigazione.
L'abbondante apporto di minerali e carbone fossile dalle montagne è stato un fattore chiave per l'inizio dell'industrializzazione del sultanato, oltre alla presenza di diversi giacimenti di cordite nativa, il minerale in grado di assorbire naturalmente l'akhan.
Le manifatture di armamenti sono concentrate quasi interamente nella regione, a Mazra nella Beth Qatraye o a Kurfan nella Beth Mazraye, così come i pochi altri centri che fanno uso parziale delle nuove tecnologie nella produzione siderurgica e tessile. Degni di nota sono i cantieri navali di Tero, nell'unico golfo della costa occidentale.

A nord-est si apre dopo uno stringimento la regione più fredda e montuosa dello Shar'asabat, la Hemeia. La regione è quella annessa più recentemente dal sultanato, “appena” tre generazioni prima ed è quella la cui popolazione è in maggior parte non appartenente al ceppo etnico himyarita, presentando carnagioni più chiare ed una lingua propria, insieme ad una loro antica forma di governo.
La capitale attuale è Begrat, che sorge nell'ampia valle fra il massiccio centrale del Poček, il lago Sočim e le montagne Dinara. Essa è la sede sia degli antichi organi di governo della regione che del governatore nominato dal sultano. Il secondo centro più importante è la città fluviale di Maritsa, nata sull'ansa settentrionale del Kamam in prossimità della sua biforcazione verso il lago Jeretsk e la sua sorgente tra le vette dei monti Hermetsi.

Le isole orientali nel Mare Antico sono collettivamente note, tramite fonti sia himyarite che emeìte, come zone misteriose e poco ospitali ma ben conosciute nei cicli della letteratura epica di entrambe le culture. Sembrerebbero essere state abitate da un antichissimo popolo il cui re nelle leggende viene chiamato “sovrano delle onde” e possessore di un vasto impero governato dall'isola principale, Caphtor.
Nessun sovrano esterno sembra essere mai riuscito a far entrare l'arcipelago di Iqritis nella propria zona d'influenza, commercialmente o militarmente, data la misteriosamente alta incidenza di tempeste nell'area che rendono la navigazione pressoché impossibile. I pochissimi ad essere stati in grado di raggiungere le isole (e tornare), parlano di grandi monumenti e città costruite di pietra grigia al centro di pianure e a ridosso di scogliere, di incisioni in una scrittura sconosciuta ed incomprensibile e di strane ed orrende creature, ritratte sui muri degli obelischi e dei templi.
Nessuno sa come, ma c'è un afflusso di reperti dalle isole verso l'entroterra.

II. Amministrazione

Il sultanato è una monarchia assoluta retta dalla dinastia Ghalizide da circa quattrocento anni. La successione del sultano è tramite nomina ad erede da parte del sultano precedente di un qualunque membro della famiglia reale, per acclamazione da parte dell'assemblea della nobiltà in arme, o più frequentemente, scelta per via dinastica del membro maschio con il patrimonio personale più ampio.
Il sultano ha potere assoluto su pressoché ogni aspetto della sfera amministrativa e militare del suo governo. Può nominare e deporre i ministri (vizir), i comandanti, i governatori provinciali (satrapi) ed anche il reggente del suo gabinetto di governo (gran vizir). Gode dell'immunità dai tribunali comuni e può venire processato unicamente dietro accusa del gran vizir o del comandante supremo del sultanato.

Il sultanato possiede quattro suddivisioni amministrative maggiori – Beth Qatraye, Beth Mazunaye, Najjed ed Hemeia, ciascuna con a capo un satrapo, governatore provinciale nominato dal sultano dietro consiglio del suo gabinetto di ministri. Egli è il rappresentante del sovrano sulla zona assegnatagli, effettivamente agendo come vicario del sultano e pertanto capace di quasi ogni sua azione, salvo quelle che vanno apertamente contro il corpus di leggi. Sono generalmente nominati tra le file dell'aristocrazia fedele alla famiglia regnante, con un occhio di riguardo alle capacità del candidato, poiché alcune delle crisi interne della storia del sultanato sono state causate dall'inettitudine dei suoi previ governatori.
Ogni satrapìa è divisa a sua volte in unità più piccole, dette qadi. Queste possono venire assegnate ad un commissario reale scelto dal satrapo ed il suo consiglio, o in alcuni casi eletto tra la nobiltà locale. Queste sono le unità più semplici dell'apparato amministrativo e sono la base del sistema giudiziario, fiscale e militare del sultanato.

Una parentesi a sé stante richiede l'Hemeia ed il suo sistema di nobiltà terriera vincolata con legami di clientela o familiari ad altri possidenti più grandi o più piccoli, che vanno ad intrecciarsi tra di loro formando un complesso sistema di dipendenze.
Dopo l'annessione himyarita tale sistema è stato integrato e ritoccato da parte della burocrazia del sultano, in parte smantellando i livelli più bassi di questa nobiltà accorpandola al basso ceto amministrativo, e semplificando i vincoli di fedeltà e dipendenza tra i grandi aristocratici, concedendo un'uniformazione nella riscossione delle imposte e del servizio militare.
Molti titoli nobiliari originali esistono e vengono equiparati a quelli dei conquistatori. Il sultanato mantiene tuttavia un satrapo nella capitale ed impone il suo statuto legislativo, scegliendo però tra i nobili locali i governanti dei qadi della regione.

Il servizio militare è obbligatorio per tutti i maschi adulti ed è la chiave per salire le gerarchie, con relativamente poco riguardo all'estrazione sociale del candidato o la sua cultura. Non è raro vedere un membro della rayah – il fondo della piramide sociale – diventare un ufficiale di basso rango dell'esercito ed ottenere così un titolo della piccola nobiltà.

III. Cultura

I due ceppi etnici che popolano il sultanato sono inquadrati nelle medesime strutture sociali, in base alla propria professione o al proprio lignaggio, che si equivalgono dal punto di vista del prestigio e dell'accesso alle cariche di governo.

Il gradino più basso e più nutrito di tutto è quello dei rayah, i popolani, i contadini ed i lavoratori a giornata o delle miniere e manifatture. Costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione e sono sia la spina dorsale dell'economia che dell'esercito. Non hanno voce in capitolo sulla formazione e l'applicazione delle leggi ma possono appellarsi al tribunale del qadi per avere un processo regolare. Sono pressoché totalmente illetterati ed analfabeti. Il nome corrispettivo per l'Hemeia è seljak.
Appena più in alto sono i kazas, più onnicomprensivi del precedente gruppo, sono artigiani, piccoli proprietari terrieri, mercanti, studiosi, cittadini ed i burocrati. Un ceto nutrito che forma l'ingranaggio intermedio fra l'enorme massa dei rayah ed i vari gradi di nobiltà sovrastanti. Essendo la forza promotrice dello sviluppo e dell'economia, sono ampiamente incoraggiati ed agevolati dal governo. Da questi vengono arruolati alcuni corpi fra i più capaci dell'esercito, meglio addestrati ed equipaggiati dei numerosissimi reggimenti di contadini di leva, spesso poco più che carne da macello. L'equivalente in Hemeia sono i zanatlii.
Dopo i kazas si aprono le gerarchie della nobiltà, divisa tra nobiltà di spada, dotata di una lunga tradizione militare e che compone l'élite delle armate, e la nobiltà di penna o di toga, ossia burocrati ed amministratori di alto rango spesso nominati tali dopo aver acquistato titolo e carica a peso d'oro. I nobili sono collettivamente noti come askeri, siano essi ufficiali dell'esercito o del governo. I nobili minori sono detti askeridum, mentre in Hemeia sono chiamati plemići.
A sé stante è la casta di schiavi domestici, i metul. Tradizionalmente provengono da intere famiglie di schiavi legati ad un singolo individuo o famiglia. Chiunque tranne i nobili, ad esempio dopo aver perduto le ricchezze o la libertà personale, può scegliere di diventare un metul. Tendono a provenire dalla classe dei rayah, dove non è raro che i genitori spingano per vendere i loro figli, per avidità o per scampare loro un'esistenza magra. Contrariamente al pensiero comune, gli schiavi domestici sono incaricati di proteggere i possedimenti del padrone, di istruirne i membri della famiglia o di badare alla casa. Godono di un buon tenore di vita, spesso collaborando con il loro padrone e addirittura sposandolo in certi casi. L'affrancamento è tuttavia pratica poco comune.

III.a Gli emeyyi

La seconda etnia di rilievo è quella che abita la regione dell'Hemeia, da cui il toponimo di emeyyi per gli himyariti, o hermaj nella loro lingua nativa. Si possono distinguere dagli himyariti se non per la lingua e per la carnagione, dai loro abiti tipici, di moda praticamente aliena al resto del sultanato e dalla persistenza di una vera e propria forma di culto.
Queste differenze sono state alla base dell'ampia autonomia concessa dal governo nei riguardi della regione, che vede molte sue strutture tradizionali mantenute o leggermente riorganizzate in maniera da amalgamarsi con l'assetto statale.
Molte tradizioni emète sono lontane da quelle himyarite: l'assenza della poligamia e della schiavitù viste come un tabù religioso, ma l'usanza di certi livelli di endogamia e del duello giudiziario. Altro elemento caratterizzante è il loro scarso livello tecnologico – le cronache della guerra di annessione riferiscono che gli emèti combattevano quasi tutti appiedati, moltissimi con solo lancia, scudo ed elmo, ed i più ricchi indossavano armature di anelli ma senza combattere a cavallo.
L'assenza di un proprio sistema di scrittura ha determinato l'adattamento dei caratteri dell'himyar (sostantivo per l'idioma) alla loro lingua nel corso del tempo, che ha aiutato i processi di vincolo lavorativo e militare tra i vari poteri locali, generalmente raccolti attorno a grandi famiglie dotate di ingenti patrimoni materiali e seguiti clientelari.

La loro religione ha alla base il dualismo dell'astro solare e di quello lunare, ma visti come una singola entità in grado di cambiare le proprie qualità in base alle inclinazioni, ad esempio mostrandosi per più o meno tempo nel cielo quando adirato o sereno, oppure occultandosi di notte quando vuole mettere alla prova le ambizioni degli uomini.
L'aspetto solare viene chiamato Belebog , “dio bianco” e quello lunare Chernobog, “dio nero”. Rispettivamente i due aspetti sono complementari del singolo e solo dio che tuttavia non si manifesta come monade perché spezzerebbe i principi di equilibrio del mondo. Al Belebog si associano il creare, il fuoco, la nascita, la luce, il raccolto e l'elemento maschile; al Chernobog invece sono associati il freddo, l'acqua, la notte, il riposo, il viaggio e l'elemento femminile.
Non esiste una casta sacerdotale organizzata o gerarchizzata. Le tradizioni del mito vengono tramandate oralmente dal sacerdote (o mudrac, letteralmente “saggio”) ad un suo allievo, scelto per la capacità di apprendere non solo i riti per il dio, ma anche i precetti su cui si basa la legge degli emèti. Di fatto, i mudrac fungono da giuristi e sono chiamati a risolvere le dispute legali (finché esse non lambiscono ambiti politici elevati al punto da passare alla giurisdizione del governatore del sultano).

La popolazione vive in villaggi e città suddivise per zone d'influenza dei vari clan, associati ad uno schema di colori, un mestiere, un patronimico o altre distinzioni. Intere famiglie vivono nella casa del membro maschio più anziano, finché non si trasferiscono per matrimonio o altri eventi. A volte un intero clan può letteralmente possedere il terreno su cui sorge la comunità (è spesso il caso di villaggi piccoli o isolati), e pertanto sottomette a sé con obblighi lavorativi e legali le restanti famiglie.
Più in generale le città sono divise in distretti insediati da clan, spesso comprendendone decine per volta, essendo legate all'artigianato o a mansioni specifiche. Il clan che è in grado di mantenere più potere in un dato contesto, un tempo tramite grandi scontri fra gli eserciti personali dei capi, adesso tramite una serie di nomine a cariche pubbliche, ottiene il “controllo” della comunità ricoprendo il ruolo di governante e ambasciatore di essa. Questo fragile sistema ha arginato l'uso della violenza su larga scala, ma corruzione, omicidi ed intrighi sono gli strumenti essenziali delle venefiche faide tra famiglie.
Il concetto di clan come aggregazione familiare di rilievo, è riservato a coloro che possono effettivamente dimostrare il prestigio necessario a venire inseriti nelle liste locali delle famiglie notabili. Questo esclude il ceto più povero nella stragrande maggioranza dei casi, e genera un clima in cui molti artigiani, mercanti ed altri s'impegnano fino allo stremo a realizzare imprese o costruire una reputazione per far raggiungere alla propria famiglia l'agognato titolo.

Esistono quattro famiglie degne di nota e conosciute in tutta la regione: Komiakt: Antico clan di proprietari terrieri, fautori della resistenza armata verso il sultanato durante l'invasione. Possiedono un decimo di tutta la terra coltivabile di tutta l'Hemeia, al punto da essere in grado di condizionare gli approvvigionamenti di alcuni beni alimentari. Risiedono nel loro quartiere fortificato nella parte sudoccidentale di Begrat.
Novosel: Ricchisimo clan di commercianti che controlla l'esportazione di quasi metà dei giacimenti di cordite della regione verso il resto del continente. Dopo la conquista himyarita sono entrati nelle grazie della corte del sultano, in quanto vitali per controllare il flusso della preziosa risorsa. Il loro centro è l'emporio commerciale fortificato di Krali, sulla costa occidentale. Gorjanski: Una famiglia che è riuscita a costruire un vastissimo sistema clientelare fornendo servizi di scorta e protezione, edificando una vasta rete di gruppi mercenari e di guardie del corpo largamente impiegati in praticamente ogni aspetto della vita dei clan. Questo ha garantito un'eterna rivalità con i Komiakt. Il loro palazzo è nel loro rione nella parte nord della capitale. Karlović: Questa famiglia ha costruito la sua fortuna sul monopolio di informazioni all'interno dell'Hemeia tutta. In ogni città o villaggio importante, stazione di frontiera, locanda o mercato c'è qualcuno che vede ed ascolta per conto loro. Queste informazioi hanno molteplici usi: vendute, nascoste, scambiate, usate. Sono stati dietro a molte delle faide della loro terra ed ancora adesso continuano a sostenere la loro rete d'informazioni, con il sultano come acquirente d'eccezione.

IV. La scuola filosofica

Gli himyariti ritengono che la forma del divino sia rappresentata dall'infinito flusso energetico che permea la creazione, ed emette dallo spazio fra gli infiniti mondi di cui il creato di compone. Il mondo è energia, essa è la ragione per cui il materiale esiste accanto all'immateriale.
Questo principio dell'eterno divenire, intrinseco alle qualità delle forze che hanno portato all'esistenza, è il nodo sul quale si articola l'intera tradizione filosofica himyarita che si è evoluta in numerose interpretazioni. I principi fondamentali della scuola di pensiero più diffusa e promulgata dallo stato, sono stati elaborati diversi secoli prima dell'industrializzazione del sultanato da Selim Ibn Fursan.
I ragionamenti (detti da alcuni dogmatici, ma ancora materiale di discussione dopo secoli) basilari sono cinque:

I. “Le cose, viventi e non, sono fatte di energia. Ma l'energia stessa è fatta di frammenti infinitesimamente piccoli e leggeri che muovono per tutta l'esistenza, e tramite i quali possiamo noi stessi muoverci, agire ed interagire con le cose. Questi frammenti possono chiamarsi dhara”;
II. “Le sensazioni sono percezioni dei simulacri perfetti delle cose che c'erano quando le abbiamo percepite, che poi noi, con l'ausilio di conoscenze pregresse o seguenti, realizziamo essere un ramo, una roccia o una persona aiutandoci con la 'macchia' lasciata dai dhara”;
III. “Per ottenere dai pensieri concetti concreti, strutturati nella loro logica, bisogna sempre fare uso di gran numeri di semplici parole, che non hanno significato oltre al loro senso, ma che andranno accompagnate alle sensazioni dei fatti che corrispondono a quelle parole. Così, si potrà costruire un esempio del fatto in sé e del modo in cui i dhara ne permettono l'accadere”;
IV. “Il corpo e l'anima avvertono i cambiamenti negli equilibri di energie, e questi ci arrecano dolore fisico e mentale, con alcuni di essi permanenti o ricorrenti come la paura ed il dolore. L'ambizione di una vita è la cessazione della sofferenza, il termine del dolore per tramite della felicità e del piacere.
Esso si divide nelle sue due forme di fissa e dinamica. Il piacere dinamico è quello dell'appagamento dei bisogni dei sensi, effimeri e brevissimi che lasciano più insoddisfatti di prima. Invece, il piacere fisso è la condizione di sapersi accontentare della propria esistenza, vivendo con gioia ogni singolo momento di essa. La moderazione porta alla serenità, sicché meno si possiede meno si rischia di perdere. È bene dissetarsi bevendo acqua, che cercare un vino sempre più raffinato del precedente”;

V. La tecnomagia

Le scienze astronomica e matematica del sultanato hanno raggiunto vette altissime. Gli osservatori fissano il cielo da molto tempo e tanti eruditi hanno scritto innumerevoli volumi sul movimento degli astri e della loro natura. Gli studi hanno portato alla scoperta di talune proprietà delle stelle, prima fra le quali la costante emissione di luce e di una relativa energia.
Ulteriori ricerche hanno portato a scoprire un'iterazione tra l'energia trasportata dalla luce stellare, l'akhan, ad un determinato angolo con l'asse del pianeta, con una roccia vulcanica apparentemente suscettibile a carpirla, oltre che ad altri tipi di materiali. L'emissione così trattenuta mantiene le sue proprietà energetiche, ed il suo contenitore permette di integrarla in varie applicazioni.
I primi congegni ad aver sfruttato il minerale igneo energizzato, detto cordite, sono stati sistemi di drenaggio nelle miniere e lavorazione del legname nelle segherie. La cordite è altamente combustibile quando grezza, un ottimo sostituto del carbone nelle fornaci. Se lavorata lievemente tramite un procedimento di frantumazione e ricomposizione, si formano blocchi più piccoli di varie fogge.
I meccanismi sono realizzati interamente di materiali suscettibili all'assorbimento di akhan (che non si limitano alla cordite, anche varietà di legno e di tessuto, in grado di mantenerlo in circolo; questo ne limita la diffusione. Gli sforzi degli scienziati si sono indirizzati verso la creazione di un materiale sintetico con le stesse proprietà. Per ora, si è in grado di imprimere una leggera traccia energetica anche in materiale non normalmente in grado di sostenerla, tramite un procedimento sperimentale.
Cannoni e moschetti sono alimentati da un composto di salnitro, zolfo e polvere di carbone (detto “polvere nera” per consistenza e colore), che quando stimolato da una fiamma o una percussione, esplodendo e scagliando in avanti a grande velocità proiettili. Sono armi molto comuni nel sultanato, ma la cui precisione lascia a desiderare e sono pertanto affiancate da armi bianche.
Particolari e rare applicazioni congiunte di pietre, gemme e minerali energizzati di akhan sono le cosiddette “reliquie”, i ritrovati più fenomenali dell'intera scienza himyarita. Sono generalmente inserti realizzati con materiali corditici, indossati a stretto contatto con il corpo e dotati di un alloggiamento per una o più gemme.
Quando queste vi sono inserite, il portatore è in grado – tramite uno specifico addestramento – di convogliare l'akhan in veri e propri incantesimi “artificiali”, condizionati dal tipo di gemma e colore impiegati. Esistono, tuttavia, oggetti innaturalmente pregni di akhan, vibrante in ogni loro singola molecola. La loro immensa energia è stata finora impossibile da replicare, il materiale di cui sono composti mostra proprietà sconosciute a qualunque altro e sembra persino irradiare energia a sua volta.
I pochissimi recuperati provengono dalle regioni interne del deserto, a volte in prossimità delle antiche rovine a sud-est, il che fa supporre collegamenti con l'antica civiltà ivi presente ormai scomparsa ed il deserto stesso.

VI. Leggende

Alcune storie degli anziani e di guardie di confine narrano di strane cose nel deserto a sud-est.
Molte sembrano i soliti racconti per spaventare i bambini; aneddoti di scorpioni grandi come un cavallo, con squame rocciose fatte della sabbia del deserto e chele di ferro in grado di spezzare i muri delle case.
C'è un'antica leggenda che narra del Nehebeket, un serpente immenso che si diceva grande come una torre, dotato di due teste e dalle squame dure ed acuminate al punto da scavare attraverso la roccia, ed in grado di rigurgitare un letale fuoco violaceo. Si muove sotto la sabbia causando cedimenti e fenditure della roccia, andando perennemente a caccia di uomini, suo unico nutrimento. Le fiamme sarebbero di tale colore poiché sarebbero alimentate dalle anime delle prede uccise.
Le entità più diffuse in più forme nelle varie leggende popolane sono i djinni, gli spiriti che abitano il deserto; creature eteree e misteriose, temute e venerate ad alternanza. I racconti li descrivono come dalle fattezze quasi umane, ma con caratteristiche molto variabili: colori accesi come giallo, rosso, verde, blu che pervadono la loro consistenza a volte fumiga, escrescenze come zanne, corna, zoccoli ed altro, che si accompagnano ad abbigliamenti di una fattura ed uno stile sconosciuti.
Vengono incolpati per calamità e malattie ed associati con le disgrazie, pertanto c'è chi effettua rituali ed offerte per placarne i desideri. Coloro che hanno avuto il coraggio, la disperazione o la follia di cercane uno e di mettersi al suo servizio, avrebbero ricevuto la benedizione e la grazia del djinni dopo averne soddisfatto i bisogni (spesso mondani e carnali). Queste sembrerebbero consistere in un desiderio a scelta del servo che lo spirito promette di esaudire, senza limiti. Tuttavia, sembra nota la tendenza all'inganno di queste entità, che stravolgono il senso della richiesta appellandosi a improbabili interpretazioni letterali.

Lontano dal deserto e nelle gole dei monti settentrionali dell'Hemeia, giungono altre storie e misteri. Molti racconti parlano degli spiriti che ne abitano i pendii e le foreste, incarnazioni del freddo, del vento e della neve. Bestie mitiche aleggerebbero nella penombra dei boschi e nelle profondità delle caverne, mentre creature ultraterrene vagano per la terra nei momenti di luna piena e nelle notti senza luna.
Gli spiriti (detti a volte ninfe) più noti sono quelli dell'acqua, dei boschi e dei campi. Sono chiamati rusalka, mavka e polyvka rispettivamente.
La rusalka sembrerebbe essere una donna dalla carnagione chiara e capelli biondo cenere, con indosso una veste blu come gli occhi le cui pieghe ondeggiano quasi come il corso d'acqua presso il quale è possibile imbattersi in essa. È spesso intenta a riempire un pesante orcio d'acqua o a lavare la sua veste, persino a nuotare placidamente. Si racconta che non sia possibile mentire ad una rusalka oppure la prossima acqua ingerita sarà guasta e velenosa.
La mavka si dice sia una donna alta e slanciata, con una corta chioma bruna, che corre fra gli alberi o che salta da un ramo all'altro con impossibile grazia. Essa è innaturalmente silenziosa mentre si aggira nel sottobosco, ed in grado di nascondersi in piena vista con il suo manto di foglie e sterpi che ne ricopre il corpo. Questi esseri sono suscettibili al cambio stagionale, rispecchiato dal colore dei loro capelli e del manto che vestono, in base a quello della natura che li circonda.
La polyvka si narra sia sempre florida e pasciuta, comparendo soltanto durante i mesi di semina e raccolto. Vaga per i campi carezzando le messi e le colture, rendendole immediatamente mature e pronte alla raccolta. I bambini sembrano insolitamente attratti da essa e non è raro che vengano ritrovati addormentati dietro un covone di fieno, con in grembo una manciata di frutti freschi. I bambini rispondono che una donna ha chiesto loro aiuto ad intessere la paglia per farne un vestito.
Ciascuna di queste creature è in grado di porre una domanda o un indovinello, a seconda della versione della storia, ed in grado di elargire una grande ricompensa o una punizione.
È presente anche una tipologia di spirito intrinsecamente malvagio, mostri attratti dalle disgrazie e dalle sfortune chiamati sadoroi. Contrapposti interamente per attitudine ed aspetto agli altri tre, questi esseri sono l'incarnazione della sventura nella vita delle persone. Descritti come orrendi uccelli antropomorfi, scabbiosi e sudici, predano su coloro colpiti dalla sventura di cui sono portatori, nutrendosi della paura e della tristezza.
Distruggono i raccolti, fanno ammalare il bestiame ed i bambini, s'impegnano per portare gli umani alla disperazione e alla pazzia.

VII. Personalità importanti

Tabrim Ismail Ibn Ghaliz Al'Medjeta: Trentottesimo sultano dell'Himyar. Rinomato a corte e in tutto il suo regno per la sua cultura e spiccata capacità di governo. Salito alla primogenitura nelle settimane immediatamente precedenti alla morte del padre Ghaliz III, è anche uno scaltro animale politico. Egli è il solo in grado di maneggiare liberamente l'akhan senza ricorrere a congegni o materiali corditici, che gli hanno garantito immensi negli intrighi di palazzo. Tale capacità gli è valsa l'appellativo di “figlio delle stelle” poiché unica nel suo genere.
Il sultano è un grande patrono delle arti e della cultura. Il palazzo del Sommo Cancello è diventato un esempio dell'opulenza e della perizia tecnica degli architetti himyariti, con veri e propri fiumi artificiali che ne attraversano l'immenso cortile e le innumerevoli aiutole ricolme di ogni tipo di fiore, pianta e albero. È presente anche un quartiere interamente dedicato ai numerosi animali posseduti dal sultano, a riprova del suo interesse per l'osservazione naturalistica.
Il sultano ha un padiglione personale sospeso al centro del grande lago nel quale confluiscono i fiumi artificiali, accessibile unicamente dietro invito esplicito e pesantemente sorvegliato dalla guardia scelta del palazzo, i mashabeti. Nessuno sa che è stato scavato un tunnel nella roccia del pilastro su cui poggia il padiglione, che si connette con il dedalo di cunicoli al di sotto del palazzo.

Yusuf Ayyub Ibn Ghaliz Al'Terket: Militare di carriera, nominato dal sultano generale supremo dell'esercito. È un cugino di primo grado di Tabrim e suo compagno di gioventù, conosciuto col nomignolo di “Yaghat”.
Fin da giovani, lui e Tabrim sono stati molto legati dopo essere cresciuti insieme nell'ambiente alle volte ostile del palazzo, dove omicidi politici ed intrighi sono all'ordine del giorno, specie per i membri della famiglia reale. Tabrim è scampato ad un attentato perpetrato da parte dei familiari più anziani grazie alla presenza di Yusuf, che essendo pressoché impossibilitato ad ereditare il trono, scelse di aiutare il cugino giurandogli fedeltà e mettendo a disposizione la sua abilità marziale.
È il comandante dei mashabeti, la guardia di palazzo. La sua capacità bellica ha permesso di sedare tutti i moti di ribellione apparsi durante la successione, oltre che aver sconfitto l'invasione dell'orda nomade proveniente da nord.

VIII. La Fiqh

Il sultano comprende bene la portata del suo dono ed è deciso a scoprirne altri, o a diffonderlo se possibile. Egli ha fondato una branca del pensiero filosofico himyarita basandosi sulla sua capacità, costruendovi attorno una vera e propria scuola dedita allo studio della sua abilità innata.
La Fiqh raccoglie fanciulli e fanciulle, provenienti da tutto il sultanato e da tutte le estrazioni sociali, che hanno mostrato in qualche maniera una possibile predisposizione a possedere l'hadia – il Dono. Qui apprendono dal sultano in persona sotto l'occhio vigile del suo seguito di studiosi e guardie d'élite.
Gli aspiranti sahir, (chiamati con il nome dei ministri di culto di un'antica religione) sono individui rispettati, di natura eclettica e inquisitiva. Il sultano sembra passare sempre più tempo con i suoi allievi, al punto da chiamarli a più riprese anche figli. Voci di corridoio ne collegano la causa ad una supposta infertilità.

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